Le sponsorizzazioni nel mondo del calcio nascono all’inizio degli anni ’70 grazie al sodalizio tra Jägermeister e Eintracht Braunschweig.
Una novità che ha cambiato per sempre il mondo del calcio creando un collegamento con tanti settori diversi tra loro che si sono avvicinati alla football industry.
Da quel momento si è innescato un effetto domino, capace di coinvolgere tutte le principali organizzazioni calcistiche europee e mondiali.
Fenomeno, però, che ha coinvolto principalmente i club e non le Nazionali, con le rappresentative che non hanno mai avuto la possibilità di apporre sul fronte della maglia il logo di un brand partner.
Ma da dove nasce questo divieto?
All’interno del regolamento FIFA, ripreso anche dalla UEFA, è contenuta una norma che fa riferimento al materiale tecnico e a cosa è possibile rendere visibile su di esso.
Infatti, ai sensi dell’articolo 57.1, “durante qualsiasi partita, qualsiasi pubblicità di sponsor, prodotti, fabbricanti di attrezzature (al di là dell’ambito del marchio di identificazione del fabbricante di attrezzature autorizzato ai sensi del capitolo VI), fornitori o terzi, così come qualsiasi messaggio politico, religioso o personale e/o altro, sono rigorosamente vietati su tutti gli articoli di abbigliamento di gioco utilizzati o introdotti (permanentemente o temporaneamente) nell’area del campo“.
Una norma che nasce essenzialmente per tutelare i rapporti commerciali dei grandi organi amministrativi e di controllo mondiali, come UEFA e FIFA, ed evitare potenziali situazioni di concorrenza o garantire clausole di esclusiva.
Per fare un esempio, Bitburger è il beer sponsor ufficiale di EURO2024 e per esserlo chiede che il suo marchio e i suoi prodotti vengano mostrati in esclusiva.
Commercialmente parlando sarebbe poco opportuno e difficile da gestire per la UEFA controllare che non vengano negoziati accordi tra le singole federazioni ed altri marchi di birra.
La UEFA, come la FIFA, per questa tipologia di competizioni vanta un ampissimo patrimonio di rapporti commerciali e, permettendo alle federazioni nazionali di esporre sponsor di maglia, rischierebbe di creare un contrasto tra i propri sponsor e quelli delle Nazionali.
Anche se è difficile parlare di una occasione persa di ricavo, certamente lo spazio sulla maglia avrebbe un grande valore, se fosse consentito apporre sponsor, per le Federazioni.
Nonostante il divieto, però, alcune compagini nazionali hanno trovato il modo di vendere spazi commerciali per promuovere i propri brand partner.
Nella squadra francese, per esempio, i Bleus si allenano con completi con i loghi di Crédit Agricole, Volkswagen e Orange. Gli Azzurri, dal canto loro, espongono Eni, Fiat, TIM Vision e Poste Italiane.
L’unica Federazione che aveva trovato un escamotage è stata l’Irlanda.
La Football Association of Ireland aveva sottoscritto un accordo con Three per apporre il logo del brand di telefonia sulle maglie in vendita della Nazionale, con un accordo però poi scaduto nel giugno 2020.
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